giovedì 19 luglio 2012

Paesaggi all'acquaforte
Bartolini Ciarrocchi Morandi

Galleria Centofiorini
14 luglio - 31 agosto 2012




















Paesaggi all'acquaforte
Bartolini Ciarrocchi Morandi
di Marta Silenzi


Ci sono terre ricche di panorami, vedute di campagna, scorci paesaggistici genuini, atemporali, che non si confondono con discorsi futuristici di pannelli solari ed energie rinnovabili, che mantengono un’aura d’Arcadia, evocano i calori diurni delle stagioni, gli odori in salita dai terreni, i suoni e i mormorii della natura diffusi dentro silenzi infiniti e distanze profondissime. Ci sono immersioni ancora possibili in queste lande dove l’orario continua a scorrere secondo ritmi antichi, luoghi puri dove ritrovare la calma e piccoli prodigi dimenticati dietro le frenesie cittadine. L’Italia centrale preserva svariati percorsi agresti di vita rurale in cui recuperare sane sensazioni bucoliche e solipsismi emozionali, lunghi cammini per nuovi situazionisti, voli improvvisi di selvaggina e radure e filari d’uva a perdita d’occhio e a perdita d’identità.
Lo stare all’aria aperta è connaturato all’uomo, influisce sugli umori, amplifica il suo sentire, lo apre a dialoghi interiori in grado di elevare le percezioni, lo porta a cogliere accenti poetici tanto alti da renderlo strumento e cassa di risonanza di questo riverberare d’echi e scintillii della natura: ecco la ragione della scelta del plein air, quel calarsi nella terra e tra le piante di pittori e poeti, dagli Impressionisti a Walt Whitman, dai Macchiaioli a Gabriele D’Annunzio.
Se poi si passa all’incisione, a questa tecnica complessa, che prevede necessariamente passaggi di realizzazione in studio ma che lascia alla mano dell’artista il potere di afferrare l’istante in essenzialità di luce e di linee, le cose si fanno magnifiche ed intime.
Molti maestri si cimentano nell’incisione, scegliendo via via, a seconda dei risultati cui tendono, il rilievo delle matrici in legno – le xilografie, dal segno spesso e i neri intensi –, il piano delle pietre le litografie, dalla granulosità tipica e il senso chiaroscurale diffuso – o le tecniche in cavo su metallo – le incisioni dirette, con le spine del bulino o della puntasecca, graffianti, dettagliate, da cesellatori; o quelle indirette: l’acquaforte, l’acquatinta, la vernice molle.
L’acquaforte è tra le più antiche e le più amate. Il nome lo prende dall’acido nitrico, che ha il compito di scavare i segni tracciati dall’artista sullo strato di cera della lastra di rame o di zinco. Già da questo si comprende quanto sia complicato il procedimento, quanti parametri debbano essere provati e valutati dall’incisore prima ancora di incavare quel disegno che andrà inchiostrato e stampato in controparte. L’occhio coglie l’immagine, la mano la traduce in segni ed essenzialità “a togliere” sul supporto, in un disegno al contrario, poi immerso nella morsura dell’acido che, con le dovute tempistiche, allargherà e scaverà quei tratti che in seguito riceveranno l’inchiostro e attenderanno la pressione del torchio per realizzare la stampa.
Molti pensano alle incisioni come ad un’arte minore. Alcuni la confondono addirittura con l’immagine tipografica. Il problema lo crea il pensiero della riproducibilità, la tiratura: il fatto che possano esserci più esemplari insinua l’idea che non siano opere originali, e certo ci sono stati casi clamorosi di fogli firmati in precedenza su cui sono state applicate stampe non autentiche, ma qui, e nella mostra che vado a presentare, parliamo di una squisita ricerca di purezza e perfezione del disegno perseguita con la più antica tecnica calcografica, che per eccellenza genera opere tra le più raffinate e di cui le Marche sono punto nevralgico grazie alla presenza della rinomata Scuola del Libro di Urbino.
Tra gli incisori se ne sono scelti tre dei più importanti, tra le loro incisioni quelle di soggetto paesaggistico, per celebrare il ricordo di luoghi amati, per mettere a confronto gli stili e la crescita incisoria e per mostrare quanto vissuto e sensibilità possono celarsi dietro segni, morsure e stampe.
Bartolini e Morandi condividono lo stesso periodo storico. Bartolini e Ciarrocchi le origini marchigiane. Ciarrocchi alla Calcografia Nazionale di Roma si trova a stampare le matrici degli altri due grandi maestri suoi predecessori. I loro nomi s’intrecciano e così la loro arte.
Luigi Bartolini (Cupramontana 1892 - Roma 1963), temperamento impetuoso, creatività multiforme e inarrestabile, è un artista sanguigno, libero da ogni vincolo, che preserva una razionalità compositiva entro la quale però si muove spontaneo, cogliendo l’attimo della parola scritta come della tinta scelta, e così pure del segno impresso: se ne va nelle zone di campagna con le lastre sottilissime nella sacca per usarle una dopo l’altra in progressione, anche al rovescio, battendosi “come un cavaliere di ventura, disegnando”, fino ad ottenere la figurazione migliore, da completare in studio con una morsura incauta, nella quale spesso brucia le dita, per rifinire la composizione con la punta delle forbici o del compasso (dice: “Io ho combattuto sul Carso e sul Piave: mi sembra che costi più un’acquaforte che una battaglia: ossia che sia più tempestoso incidere un’acquaforte che partecipare ad un’azione di guerra”).
È un perfezionista che se ne infischia della metodologia e persegue la sua perfezione, un eterodosso della tecnica che quando incide vede “le cose angelicarsi”, si fa prendere dalla febbre; è un passionale perso nell’incanto della sua visione di boschi, di case e di fonti con le lavandaie, paesaggi semplici e sentimenti forti, resi col guizzo del tratto, sempre più rado, schizzato, vibrante e nervoso, con grandi respiri di bianco e indagini di luce: una Strada d’Ancona del ’42 ci concede appena la vista delle linee collinari e qualche albero nel mezzo, documento della conquista bartoliniana di questa “maniera bionda” che in prove precedenti è invece detta “nera”, col tratteggio più insistito, il chiaroscuro che sottolinea i profili di città alte sui poggi e scurisce i tetti della provincia, addensa le ombre tra gli alberi o nelle cavità dei loggiati con effetti di macchia tendenti al pittorialismo (Fonte San Giorgio, 1930; Camerino Marche, 1926).
Gli si rivendica un parentela con la tradizione naturalista italiana dell’Ottocento e uno sguardo alle stampe di Rembrandt e Goya forse più evidente nelle nature morte, ad ogni modo l’occhio sensibile del maestro coglie e ricrea sulle lastre – incise in quantità prodigiose ma stampate in tirature molto limitate – scenari intimi di una vita tanto quotidiana da farsi poesia, con il gusto per il dettaglio ma non per la descrizione che cede sempre il passo allo sguardo d’insieme, alla linea sintetica e vigorosa, oscillante quasi tra espressionismo e non-finito.
Le acqueforti di Bartolini presentate in mostra vanno dal 1921 al ’42 e indicano come l’innata sapienza compositiva, che rifiuta la meditazione sul disegno, passi ad ariosità e sintetismi sempre maggiori, coniugando tenerezze ed asperità del linguaggio, e rimanendo tuttavia costante nell’affetto per il paesaggio marchigiano, un po’ ricordato un po’ immaginato anche a distanza, sempre vagheggiato con ardore e insieme cura affettiva, entro i due estremi emozionali caratteristici di questo artista di rara qualità ed originalità, uno degli “spiriti bizzarri in tempi inquieti” di cui parla Roberto Longhi.
Di pari intensità ma opposta resa incisoria è la sensibilità di Giorgio Morandi (Bologna 1890-1964).
Gli anni sono gli stessi, l’Italia è sempre quella centrale, ma ciò che è furore ed impeto incontenibile in Bartolini, è inquietudine, calma imposta e vibrante in Morandi; ciò che è eccitazione subitanea e segno nervoso nell’uno, è meditazione, studio, trascorrenza temporale nell’altro. La spropositata produzione di acqueforti di Luigi Bartolini – pur con la consapevolezza che “ per inciderne dodici buone ne ho incise trecento, quattrocento cattive” – contrasta con il corpus rigorosamente selezionato dal maestro bolognese: appena 117 lastre, con qualche aggiunta per un ritrovamento post mortem, che testimoniano quanto l’artista sia concentrato sul fare, sul lavoro artistico, sulla ricerca dell’equilibrio compositivo entro cui si dispiega il tremolio tonale; anche Morandi guarda a Rembrandt, come guarda al Parmigianino, Barocci, Annibale Carracci, ma con indifferenza verso i loro soggetti, riservando invece tutta l’attenzione al loro modo di condurre l’acquaforte.
Incisione e pittura sono parallele, anzi spesso la prima è sperimentale in termini di chiaroscuro in funzione della seconda ma non per questo condotta con meno attenzione, ed è evidente come tutta l’opera morandiana sia di contenuto ermetico, con la scelta di soggetti umili che nella loro intimità silenziosa di estrazione metafisica diventano infinitamente poetici ed universali. Vale per le note nature morte come anche per i paesaggi: l’azione di trasfigurazione del reale è la stessa, quell’aura atemporale conferita dal cadere della luce sulle superfici, dal quietarsi dei suoni nelle campagne abitate dai venti ma non dagli uomini, in ore del giorno che sembrano attese di un accadimento.
Dopo le prime prove incerte del ’13, del ’15, dagli anni Venti si rivela tutta la qualità della tecnica morandiana, l’importanza non del singolo segno ma dell’insieme, del reticolo attraverso il quale si studia tutta la scala dei grigi, fino al nero più polveroso che oppone il suo effetto tattile al bianco specchiato di intonaci, cieli o stradine sterrate: Paesaggio (Casa a Grizzana) o Paesaggio con il grande pioppo sono espressioni altissime del 1927, cioè l’aprirsi di una stagione feconda che va a comporre i tre quarti dell’intero corpus incisorio; Morandi padroneggia l’acquaforte e ne fa un mezzo incondizionato di espressione superiore. L’intreccio è una trama, una tessitura serica di ombre, fatta di una precisione affidata al variare delle morsure in acido che regolano il segno; il paesaggio è costruito, meditato tra eccedenze di tratteggi neri, in cespugli, tetti e chiome di cipressi, ed azzeramenti che sono esplosioni di luce sulle facciate delle case solide e cubiche.
L’orchestrazione dell’immagine è mentale, lo testimonia il fatto che molte lastre hanno uno o pochi stati, raramente ci sono interventi di completamento sostanziali – invece tipici di Bartolini – e comunque il ritocco è impercettibile. Da questo rigore dipendono le setosità dei grigi, le variazioni tonali sottili e preziose, quell’equilibrio e quel conforto dato dalla progressione dei piani per parallelismi che muovono le campagne e digradano in profondità contro i cieli assolati (Paesaggio di Grizzana, 1932).
Gli stampatori di Morandi trovano le sue lastre “ideali, perché tutto è già sul rame” ed è un’affermazione indicativa di quella metodologia esigente, di quel controllo, di quell’esclusione di casualità che sanno custodire e rivelare come nient’altro un prodigio segreto, di finissima percezione e indiscutibile valore poetico.
Arnoldo Ciarrocchi (Civitanova Alta 1916 – 2004), l’artista che vuole apprendere l’incisione “con l’impegno di imparare a lavorare artigianalmente” – e Luigi Bartolini lo ricorda infatti “in pannella e camice turchino, da onesto operaio” –, è “l’erede ideale di quello splendido talento che raramente capita d’incontrare e che si è già rivelato in Morandi e Bartolini”, dicono Luzi e Baiocco nel 1981, alla Galleria Centofiorini, in apertura della mostra con ritratti, nature morte e altri soggetti figurativi dei tre incisori.
Quest’anno i suoi paesaggi in mostra aprono col 1940: passate già le “lastre nere” ed il periodo urbinate quando, allievo di Castellani, apprende il medium dell’acquaforte, questo è il momento in cui lavora come torcoliere alla Calcografia Nazionale di Roma e studia i segreti dei grandi incisori passando dal fine segno pittorialista alla Bartolini, fatto di cespugli, figure e brevi accenni delle “lastre bianche” (Ragazze all’acqua acetosa, 1940; Paesaggio con una casa ed un pagliaio, 1947; Alberi lungo il Chienti, 1947), alla cosiddetta “maglia larga” di memoria morandiana, che cerca una costruzione più solida, il segno a rete con gli incroci radi, le case fatte di porzioni bianche dentro un ricco gioco chiaroscurale. Gli si rimprovera l’aver abbandonato lo stile di fine anni Trenta e del noto Paesaggio col pagliaio per seguire le ricerche tonali del maestro bolognese, ma sagacemente Ciarrocchi risponde che “colui che sa leggere è capace di recuperare sotto questa rete ghiaccia quell’umore sottile che c’era nelle mie stampine del ‘38”, e la differenza con Morandi la si vede nel segno incapace di trattenersi saldo, rivelatore di un temperamento più sciolto, che dilata dove Morandi rinserra, che attraversa la fase del tratteggio e dell’incrocio per approdare in seguito al “segno grosso”, molto incisivo, e molto rappresentativo del tratto ciarrocchiano, quello che si ravvisa anche nei dipinti, anche negli acquarelli, fino alla fine.
Dallo studio di Piranesi deriva la costruzione prospettica sapiente – a lungo esercitata nelle vedutine di Roma –, le immagini equilibrate, i contrasti distribuiti per esaltare le singole parti e vivificare il tutto in una compenetrazione di natura e figure date per segni sottili. L’intenso tratteggio poi allenta e gradualmente si tinge di un’ariosa serenità paesaggistica, che attraversa la “maglia larga” delle case di conoscenti e familiari sparse nei terreni asolani (La casa dell’amica straniera, La casa dell’uomo solo, La casa della scrittrice di racconti brevi, 1956, La casa di Rinalda, La casa del veterinario, La casa delle figlie di Crescentina, 1958 ecc.) per affrancarsi più avanti trionfalmente nella scarna schiettezza di linee incise a punta, di segni che nascono sottili e si fanno grossi, come in una china che scrive una calligrafia col pennino. Sono gli anni in cui il paesaggio marchigiano e romano si fondono in una sorta di recupero immaginativo, con le colline dell’Asola sublimate nell’Acqua Acetosa in continui rimandi, “sono declivi e case appena accennate, spunti confinanti in un riquadro a significare una tensione di compiutezza, di definizione, bisogno di luce e desiderio del suo possesso” (Gastone Mosci), sono piani essenziali, disposti di scorcio verso lo sfondo, creati da spezzate e da una piacevole poetica dei rami . Il segno sintetico e tagliente risente sicuramente di quella vena ironica riservata a certi ritratti filiformi del padre Aurelio, ispirati forse dallo studio di Daumier, ma successivamente, specie nei paesaggi, s’ispessisce e si carica di un volume rapido, improvviso, che cerca contrasti crudi tra bianco e nero – solo a volte intiepiditi dall’intervento atmosferico dell’acquatinta o dall’uso del fondino – e che richiama quasi il suono prodotto dalle punte sul rame o sullo zinco delle lastre durante l’atto dell’incisione.
I luoghi cari, la vita all’aria aperta, la poesia delle ‘piccole cose’ di retaggio pascoliniano, sono le componenti dolci e vigorose dell’ “asolitudine” di Ciarrocchi, ma sono anche aspetti comuni ai tre incisori di questa mostra che, nel dare uno sguardo alla tecnica dei grandi del passato, trovano se stessi, il loro tempo, la propria cifra incontaminata, e danno origine a una nuova classicità.


Etching landscapes
Bartolini Ciarrocchi Morandi

by Marta Silenzi
Translation by Carolyn Langford Moretti

Glimpses of genuine, timeless landscapes and rich panoramic views can still be found. They do not blend with futuristic solar panels and other kinds of renewable energy. They maintain an aura of Arcadia, evoke the daytime heat of the seasons, the odours of the countryside, alongside the sounds and murmurs of nature within infinite silence and immense distances. It is still possible to immerge oneself in these lands, where time passes according to ancient rhythms, unspoilt places in which to enjoy the calm and wonders forgotten in the frenzy of city life.
Central Italy preserves many routes in the countryside in which to retrieve healthy bucolic feelings and emotional solipsisms, long walks for new situationists, the sudden flight of wild life, with clearings and grape vines stretching as far as the eye can see in which to lose ones identity. Outdoor life is inherent in man and affects his mood and his feeling, develops his level of perception and enables him to catch poetic aspects so fine that he becomes a ‘resounding chamber’ for these reverberating echoes of nature: this is the rationale behind the en plein air of so many painters and poets who chose to immerge themselves in the countryside, from the Impressionists to Walt Whitman, from the Macchiaioli to Gabriele D’Annunzio.
Engraving, on the other hand, is a complex technique that requires its final realization in studio, but leaves the hand of the artist free to capture those essential moments of light and outline – this is where things become both magnificent and intimate.
Many artists test their strength with engraving, then pass on, depending on the results that they wish to achieve in particular, to wood matrix relief – the woodcut with thick lines and its deep blacks – to the smooth surface of stone – lithography with its typical grain and feeling of diffuse chiaroscuro – or to the techniques which groove on steel plates – the direct engravings, with the pins of burin or drypoint, scratching, detailed, typical of chisellers; or indirect engravings: the etching, the acquatint, the soft-ground.
Etching however is one of the oldest and most popular techniques. It takes its name from nitric acid, which is used to erode the lines drawn by the artist on the layer of wax of the copper or zinc plate. It becomes clear how complex this procedure is: so much has to be tried and evaluated by the artist even before he begins to engrave the drawing that is going to be inked in counterpart.
The eye captures the image, the hand then transfers it to a drawing in reverse, which immersed in acid, with careful timing, will then deepen the lines of the engraving, preparing it for the ink and the pressure of the press.
Many people thank that engraving is a minor art. Some even confuse it with the typographic image. This is due to its reproducibility, to the print run: the possibility of producing many copies insinuates the idea that they are not originals. There have, of course, been clamorous cases of works signed with unauthentic printing. However, here in the exhibition that I am going to present, we are talking about the exquisite search of drawing’s purity and perfection carried out by the oldest chalcographic technique, that produces works of the finest quality, in which the Marches is the centre, thanks to the presence of the renowned Scuola del Libro of Urbino.
Three of the most important engravers have been chosen, and from amongst their engravings landscapes, in order to celebrate the memory of loved places, compare the styles and growth of engraving and to show how much experience and sensibility can be revealed through lines, press and prints.
Bartolini and Morandi share the same historical period, whereas Bartolini and Ciarrocchi are both from the Marches. Ciarrocchi finds himself printing the matrixes of the two masters that precede him at the Calcografia Nazionale of Rome. Their names and their art are entwined with one other.
Luigi Bartolini (Cupramontana 1892 – Rome 1963) is a full blooded artist free from any other influence. With impetuous temperament and never ending multiform creativity, he maintains a rationale in his compositions that enables him to move spontaneously, capturing the right instant for the written word as well as the chosen colour and so the engraved lines too: he moves through the countryside with the thin plates in his bag and uses them one after another, on both side, fighting like an ‘adventurous knight’ and drawing until he obtains the best figuration. Completing his work then in the studio with incautious etching in which he often burns his fingers and has to finish the process with point of a pair of scissors or a compass (he says: “I fought on the Carso in Piave, but it seems that etching is more dangerous than a war”). He is a perfectionist and does not care about methods, but follows his own idea of perfection, a technical heterodox, who, when engraving sees ‘an angelical transformation’, and even catches a fever. He is a man of passion lost in the enchantment of his pastoral vision: houses, fountains with washer women, simple landscapes and strong feelings made with the flick of an incision, which gets rare, more sketchy, vibrant and nervous with more white space and in search of light: in Road to Ancona of 1942 he allows himself just a glimpse of the hills and a few trees, which remains a document of Bartolini’s grasp of the “blonde maniera” as opposed to what is known as the “black maniera” of his previous period in which the lines were thicker, the chiaroscuro that outlines the profile of the hill top towns and darkens the roofs of the province, thickens the shadows between the trees or in the hollows of the porticos, giving a smearing effect tending towards pictorialism (San Giorgio Fount, 1930; Camerino Marche, 1926).
He is attributed with a connection to the Italian naturalist tradition of the 1900s with a look to the prints of Rembrandt and Goya, probably more evident in still life, but in any case the sensitive eye of Bartolini catches and recreates on the plates – prodigious numbers of engravings, but printed in limited numbers – intimate scenes of everyday life with attention to detail but not description which always gives way to an overall view, to a vigorous synthesis in line, oscillating between Expressionism and non- finito.
Bartolini’s etchings present in the exhibition go from 1921 to 1942 and they indicate how his inborn compositional skill, which refuses to dwell on just drawing, passes to greater airiness and syntheticism, mixing tenderness and harshness of language, but remaining constant in his love for landscapes in the Marches, reminiscences of the past, always longed for with ardour and affectionate care together with the two extreme emotional characteristics of this artist of rare quality and originality. One of the “bizarre spirits in troubled times” that Roberto Longhi talks about.
The engravings of Morandi have the same intensity, but the sensibility is different. The years are the same and we are still in Central Italy, but what is uncontainable fury and impetuosity in Bartolini, becomes imposed and vibrant calm in Morandi; what is unexpected excitement and nervous trait in the former becomes meditation, study and time in the latter. The exceptionally large production of Bartolini’s etchings (although he was aware that “to engrave twelve good ones I have engraved three or four hundred bad ones) contrasts with Morandi’s rigorous selection of engravings, only 117, with the addition of a few post mortem findings, which bears witness to how much the artist had concentrated on ‘doing’, on the aspects of artistic work, on his research for compositional balance within which he unfolds tonal trembling: Morandi takes a glimpse at Rembrandt too, and Parmigianino, Barocci, Annibale Carracci, but with an indifference towards their subject matter, reserving his attention for the way in which they produce their etchings.
Engraving and painting are parallel and the former is often experimental in terms of chiaroscuro and with a view to painting, but performed with the same care and attention. It is evident that all Morandi’s production is hermetic, with his choice of simple objects that in their intimate and metaphysical silence become infinitely poetic and universal. This is valid both for his famous works of still life and landscapes: the act of transfiguring reality is the same, the timeless aura conferred by light falling on the surfaces, the dimming sounds of the countryside inhabited by winds and not by men, in moments of the day that seem full of expectation.
After the first uncertain examples of 1913 and 1915, from the twenties onwards the technical quality of Morandi is revealed, the importance of the whole rather than the single line, the grid through which he studies the various shades of grey, through dusty black that opposes its tactile effect to the white of the houses, skies or dusty white roads: Landscape (Home at Grizzana) or Landscape with the large poplar are works of great importance of 1927: they open the way to a very fruitful season, which in fact consist of three quarters of the entire corpus of engravings  Morandi masters engraving and makes it an unconditioned means for a superior form of art. The mixture is carefully planned, a silky texture of shadows, done with precision depending on a variety of etching acids that regulate the incised lines; the landscape is constructed, between an excess of black lines, in bushes, roofs and cypress trees to blanks that are flashes of light on the sides of the solid, cubic houses. There is a mental orchestration of the image, witnessed by the fact that many plates have one or few stages, very rarely have there been substantial changes on completion – so typical of Bartolini – and in any case any retouching is imperceptible. Upon this rigour depend the silky greys, the subtle and precious tonal variations, the balance and comfort given by parallel planes sloping in depth against the sunny skies (Grizzana landscape, 1932). Morandi’s printers find his plates “ideal, because everything is already on the copper” and this statement indicates that exigent methodology, that control, that exclusion of chance, all of which keep and reveal at the same time a miracle of the finest perception and undeniable poetic value.
Arnoldo Ciarrocchi (Civitanova Alta 1916 – 2004), the artist that wants to learn the art of etching “with the commitment to learn to work like an artisan” – and in fact Luigi Bartolini remembers him “in blue overalls like an honest workman” – he is “the ideal heir for the talent that we so rarely come across and that was to be found in Morandi and Bartolini” say Luzi and Baiocco in 1981 on the occasion of an exhibition in the Galleria Centofiorini with portraits, still lifes and other works of figurative art by these three engravers.
This year his landscapes in the exhibition start with 1940: the “black plates” and the Urbino period, when as a pupil of Castellani he learnt art of etching, is over, this is the time in which he was working as pressman in the Calcografia Nazionale of Rome and where he studied the secrets of the great engravers. In this period he passed from the fine pictorialist trait of Bartolini, with its bushes, figures and brief mentions of “white plates” (Girls at acqua acetosa, 1940; Landscape with a house and a haystack, 1947; Trees by the Chienti river, 1947), to the so called “wider mesh” in the style of Morandi, looking for a more solid construction, wider meshed lines, the houses with portions of white within a rich play of chiaroscuro. He has been criticized for abandoning the end of Thirties style and the famous Landscape with the haystack in order to follow the tonal research of the Bolognese master. However, as Ciarrocchi wisely replied “those who can read are able to recuperate under this icy network, that subtle humour that was present in my little prints of 1938”. The difference between Ciarrocchi and Morandi is to be found in a freer trait that reveals a more relaxed temperament, which stretches where Morandi tightens, which through the sketching and the mesh arrives at the “wider trait”, very incisive and typical of Ciarrocchi’s style, which we find in his oils and water colours through to the end.
We can trace the masterly prospective layout to his study of Piranesi – in which he practised at length in his little views of Rome – the balanced pictures, with contrast distributed to enhance the individual parts and to enliven the whole with the permeation of nature and figures accomplished with fine lines. The intense sketching gradually gives way and opens up to a landscape of lively serenity, which through the “large mesh” of the houses of friends and relations (The foreign friend’s house, The lonely man’s house, The short stories writer’s house, 1956, Rinalda’s house, The veterinarian’s house, The house of Crescentina’s daughters, 1958 etc.) and later freeing itself triumphantly with the scanty purity of incised lines, signs that start thin and become thick, like china ink writing with a pen. These are the years in which the Roman landscape and that of the Marches merge together like reminiscences, with the hills of Asola being exalted in Acqua Acetosa. “....there are slopes and sketched houses, adjoining ideas framed to signify tension of completeness, definition, need of light and desiring its possession” (Gastone Mosci) essential layers, arranged with a view to the background, created by the broken lines and pleasing poetry of the branches. The concise, sharp cut lines surely record that ironic vein which Ciarrocchi kept for certain thread like portraits of his father Aurelio, probably inspired by his study of Daumier, but later on, in particular in the landscapes, the line thickens and is charged with a sudden, rapid volume in search of crude black and white contrasts – sometimes warmed by the intervention of acquatint or by the use of fondino (a basic colour) – it seems to recall the sound produced by the point on copper or zinc plats during the engraving.
The places dear to him, outdoor life, the poetry to be found in “little things” of pascolinian heritage, these are the vigorous and sweet components of Ciarrocchi’s “asolitudine”[1] , but they are also aspects that can be found in all three of the engravers in this exhibition who, with an eye to the great of the past, have found themselves, their time and their own unblemished characteristics that lead the way to a new classicism.

 [1] a pun that Ciarrocchi made with Asola, the countryside where he usually went to paint, and loneliness.



Paysages à l’eau-forte
Bartolini, Ciarrocchi, Morandi

de Marta Silenzi
Traduit par Federica Luzi et Gilles Houssard

Il y a des campagnes riches de perspectives, de paysages ruraux, de panoramas authentiques, hors du temps, qui ne se confondent pas avec des discours futuristes sur les panneaux solaires et les énergies renouvelables, qui gardent une aura d’Arcadie, qui évoquent les chaleurs diurnes des saisons, les odeurs qui montent du sol, les sons et les murmures de la nature qui se diffusent dans d’infinis silences et sur de profondes distances. L’immersion est encore possible dans ces landes où le temps s’écoule selon des rythmes ancestraux, lieux vierges où l’on retrouve le calme et les petits prodiges oubliés dans la frénésie urbaine.
L’Italie centrale conserve plusieurs parcours agrestes de vie rurale dans lesquels on peut retrouver de saines sensations bucoliques et des solipsismes émotionnels, longs chemins pour nouveaux situationnistes, vols imprévus de gibier, clairières et rangs de vignes à perte de vue et d’identité. Le « vivre en plein air » est consubstantiel à l’homme, influe sur ses états d’âmes, amplifie ses sensations, l’ouvre à des dialogues intimes capables d’élever sa perception, l’amène à cueillir des accents poétiques assez forts pour le rendre outil et caisse de résonance capables de réverbérer cet écho et ce scintillement naturel : voilà la raison de ce choix du plein air, cet enracinement dans la terre, entre les plantes des peintres et des poètes, des Impressionnistes à Walt Whitman, de Macchiaioli à Gabriele D’Annunzio.
Et maintenant, pour en venir à la gravure, cette technique complexe, qui anticipe nécessairement le travail dans l’atelier mais qui laisse à la main de l’artiste le pouvoir de saisir l’instant dans l’essentialité des lumières et des lignes, les choses deviennent magnifiques et intimes. 
Beaucoup de maîtres se mesurent avec la gravure, en choisissant petit à petit, selon les résultats vers lesquels ils tendent, le relief des matrices de bois – les xylographies, au signe épais et au noirs intenses – , la surface des pierres – les lithographies, à la granulosité typique et au clair-obscur diffus – ou les techniques en creux sur métal – les gravures directes, avec le burin ou la pointesèche, griffées, détaillées, par des ciseleurs ; ou indirectes : l’eau-forte, l’aquatinte, le vernis mou.
L’eau-forte fait partie des plus anciennes et des plus aimées. Elle tire son nom de l’acide nitrique, qui a pour fonction de creuser les signes tracés par l’artiste sur la couche de cire de la plaque de cuivre ou de zinc. On voit là toute la complexité du procédé, combien de paramètres doivent être pris en compte et évalués par le graveur avant de creuser ce dessin qui va être encré et imprimé à l’envers. L’oeil cueille l’image, la main la traduit en signes, essentialité « à enlever » sur les supports, contrairement au dessin. Image ensuite immergée dans l’acide mordant qui avec le travail du temps, élargira et creusera ces traits qui recevront l’encre et attendront la presse.
Beaucoup considèrent la gravure comme un art mineur. Certains la confondent même avec la typographie. Ce problème tient à la pensée de la reproductibilité : le tirage. Le fait qu’il puisse exister plusieurs exemplaires suggère l’idée que ce ne sont pas des oeuvres originales. Bien sûr il y a eu des cas éclatants de feuilles pré-signées sur lesquelles on été imprimées des faux. Dans l’exposition que je vais présenter, il est question d’une exquise recherche de pureté et de perfection du dessin, poursuivie à travers l’ancienne technique de la taille-douce, qui produit par excellence des oeuvres parmi les plus raffinées et dont les Marches sont dépositaires d'une tradition avec la célèbre Ecole du Livre d’Urbin.
On a choisi trois d’entre les plus importants graveurs, et parmi leurs oeuvres celles qui ont un sujet paysager, célébrant le souvenir de lieux aimés, pour confronter les styles et le développement de la gravure, et pour montrer combien de vécu et de sensibilité peuvent se cacher derrière des signes, des morsures et des gravures.
Bartolini et Morandi appartiennent à la même période historique. Bartolini et Ciarrocchi partagent les mêmes origines marchigiannes. Ciarrocchi à la Chalcographie Nationale de Rome, imprime les matrices des deux grands maîtres, ses prédécesseurs. Leurs noms s’entremêlent comme leur art.
Luigi Bartolini (Cupramontana,1892 – Rome,1963), au tempérament impétueux, à la créativité multiforme et incessante, est un artiste sanguin, affranchi de tous liens, qui garde une rationalité compositionnelle à l’intérieur de laquelle il évolue spontanément, saisissant l’instant de la parole écrite comme de la teinte choisie et du signe gravé : il s’en va dans les campagnes avec des plaques très fines, les utilisant petit à petit, ou au contraire, combattant « comme un chevalier de fortune », jusqu’à obtenir la meilleure représentation, qu’il complétera dans son atelier d’une morsure imprudente, en se brûlant souvent les doigts lors qu’il achèvera la composition à la pointe du ciseau ou du compas (il dit : « j’ai combattu sur le Karst et sur le Piave : il me semble qu’une eau-forte me coûte plus cher qu’une bataille : que graver une eau-forte est plus tempétueux que de prendre part à un combat »).
C’est un perfectionniste qui se fiche de la méthodologie et qui poursuit son idéal, un hétérodoxe de la technique qui voit « les choses s’angéliser » et qui est pris de fièvre pendant qu’il grave ; c’est un passionnel perdu dans la magie de sa vision des bois, des maisons et des sources avec les lavandières, paysages simples et sentiments forts, rendus par le frétillement du trait, toujours plus large, giclé, vibrant et nerveux, avec de grands souffles de blanc et une recherche de lumière : une Rue d’Ancône de 1942 nous donne seulement à voir la ligne des collines avec quelques arbres au milieu, document de la conquête bartolinienne de cette « manière blonde » qui succède à sa manière « noire ». Avec un trait plus appuyé, le clair-obscur souligne les profils des cités sur les coteaux et fonce les toits de la province, épaissi les ombres entre les arbres ou dans les cavités des arcades avec des effets de tache tendant au pictorialisme (Source Saint Georges,1930; Camerino Marche, 1926).
On lui attribue une filiation avec la tradition naturaliste italienne du XIX siècle et l’influence de Rembrandt et de Goya, plus évidente peut-être dans les natures mortes. L’oeil sensible du maître saisi et recrée sur les plaques – gravées en quantités prodigieuses, mais imprimées en très petit nombre – des décors intimes d’une vie tellement quotidienne qu’elle en devient poésie, avec un goût du détail, mais pas de la description, toujours assujetti à la vision d’ensemble, à la ligne synthétique et vigoureuse, basculant presque entre expressionnisme et inachèvement.
Les eaux-fortes de Bartolini présentées dans l’exposition vont de 1921 à 1942 et montrent comment la science innée de la composition, qui refuse de méditer sur le dessin, passe par une respiration ample et une synthèse, conjuguant tendresse et aspérités du langage, et témoignant de son affection pour le paysage des Marches, tantôt souvenir tantôt imagination, toujours rêvé avec ardeur et affect, entre les deux pôles émotionnels caractéristiques de cet artiste d’une qualité et originalité rares, un des « esprits bizarres des temps inquiets » dont parle Roberto Longhi.
La sensibilité de Giorgio Morandi (Bologne,1890 – 1964) est de même intensité mais d’un tout autre rendement. Nous nous retrouvons dans la même époque, dans cette même Italie centrale, mais ce qui est fureur et impétuosité insoutenable chez Bartolini, est inquiétude, calme conquis et vibrant chez Morandi ; ce qui est excitation soudaine et signe nerveux chez l’un, est méditation, étude, passage du temps chez l’autre. La production démesurée d’eaux-fortes de Luigi Bartolini – même avec la conscience que « pour en graver douze bonnes j’en ai gravé trois cents mauvaises » – contraste avec le corpus rigoureusement sélectionné du maître de Bologne : seulement 117 plaques, avec quelques adjonctions suite à une découverte posthume, témoignant combien l’artiste est concentré sur le faire, sur le travail artistique, sur la recherche de l’équilibre de la composition dans lequel se déploie le tremblement tonal; Morandi s’inspire aussi de Rembrandt, comme du Parmesan, de Barocci, d’Annibale Carracci, indifférent à leurs sujets, réservant toute son attention à leur technique respective de l’eau-forte.
Gravure et peinture marchent parallèlement, ou plutôt la première est souvent une expérimentation en termes de clair-obscur qui servira à la seconde, mais néanmoins fera l’objet d’une égale attention. Il est bien évident que toute l’oeuvre de Morandi est de contenu hermétique par le choix de sujets humbles qui dans leur intimité silencieuse d’abstractions métaphysiques deviennent infiniment poétiques et universels. C’est vrai pour les natures mortes comme pour les paysages : l’action de transfiguration de la réalité est la même, cette aura atemporelle conférée par la tombée de la lumière sur les surfaces, cette quiétude des sons dans les campagnes habitées davantage par les vents que par les hommes, dans ces heures du jour qui semblent en attente d’un événement.
Après les premières épreuves incertaines de 1913 et de 1915, les années vingt révèlent toute la qualité de la technique de Morandi, l’importance non pas du signe particulier mais de l’ensemble, du réseau à travers lequel est étudiée toute l’échelle des gris, jusqu’au noir le plus poussiéreux qui oppose son effet tactile au blanc reflété par l’enduit, ciels et petites rues de terre battue : Paysage (Maison à Grizzana) ou Paysage avec le grand peuplier sont de très hautes expressions de 1927, le commencement d’une saison féconde qui composera les trois quarts du corpus entier des gravures ;
Morandi maîtrise l’eau-forte et en fait un moyen inconditionné d’expression supérieure.
L’entrelacement est une trame, un tissage soyeux d’ombres, d’une précision résultant de la variété des morsures de l’acide qui régule le signe ; le paysage est construit, médité entre excédent de grignotis noirs, dans les buissons, les toits et les chevelures des cyprès, et des oblitérations, explosions de lumière sur les façades des maisons solides et cubiques. L’orchestration de l’image est mentale: en témoigne le fait que beaucoup de plaques ont une ou peu de couches, rares sont les modifications ultérieures importantes – typiques au contraire de Bartolini – et les retouches imperceptibles. De cette rigueur dépendent ce caractère soyeux des gris, ces variations tonales subtiles et précieuses, cet équilibre et ce confort donné par la progression des pleins en parallèle qui animent les campagnes et descendent en profondeur contre les ciels ensoleillés (Paysage de Grizzana, 1932).
Les imprimeurs de Morandi trouvent ses plaques « idéales, parce que tout est déjà sur le cuivre ».
Cette affirmation illustre cette méthodologie exigeante, ce contrôle, cette exclusion du hasard qui gardent et révèlent comme nul autre un prodige secret de très fine perception et d’indiscutable valeur poétique.
Arnoldo Ciarrocchi (Civitanova Alta,1916 - 2004), l’artiste qui veut apprendre la gravure « avec la volonté de travailler artisanalement » - et Luigi Bartolini se le rappelle en effet « en tablier et blouse bleu foncé, comme une honnête ouvrier » – , est « l’héritier idéal de ce splendide talent qui se rencontre rarement et qui s’est déjà révélé chez Morandi et chez Bartolini », écrivent Luzi et Baiocco en 1981, à l’occasion de l’exposition des portraits, natures mortes et autres sujets figuratifs de ces trois graveurs à la Galerie Centofiorini.
Les paysages exposés cette année remontent à 1940 : succédant à la période des « plaques noires » et à celle d’Urbin quand, élève de Castellani, il apprenait la technique de l’eau-forte, période avant laquelle il travaille à la Chalcographie Nationale de Rome et étudie les secrets des grands graveurs, en passant du signe ténu pictorialiste à la Bartolini, fait de buissons, de figures et de brèves esquisses des « plaques blanches » (Filles à l’Acqua Acetosa, 1940; Paysage avec une maison et un meule de paille, 1947; Arbres le long du Chienti, 1947), à la « maille large » morandienne, recherchant une construction plus solide, une trame aux croisements lâches, des portions blanches des maisons au riche jeu de clair-obscur. On lui reproche d’avoir abandonné le style de la fin des années trente et du célèbre Paysage avec meule de paille pour suivre les recherche tonales du fameux maître bolognais, mais Ciarrocchi répond avec sagacité que « celui qui sait lire est capable de repérer sous ce réseau glacé cette atmosphère subtile qu’il y avait dans mes petites gravures de 1938 ». La différence avec Morandi apparaît notamment dans ce trait instable, révélateur d’un
tempérament plus agile, dilatant là où Morandi enferme, qui traverse la phase de hachurage et d’entrecroisement pour parvenir au « trait gros », incisif et représentatif de la manière de Ciarrocchi, celle qu’on verra jusqu’à la fin dans les peintures et les aquarelles.
De l’étude de Piranesi dérive la construction en perspective savante – longuement exercée dans les petites vues de Rome – , les images équilibrées, les contrastes distribués pour exalter les singularités et vivifier l’ensemble dans une intrication de nature et de figures suggérées. L’intense hachurage se desserre et teint le paysage d’une sérénité bien aérée, qui traverse la « maille large » des maisons des gens de connaissance et des membres de la famille éparpillées dans les terres de l’Asola (La maison de l’amie étrangère, La maison de l’homme seul, La maison de l’écrivaine de contes brefs, 1956, La maison de Rinalda, La maison du vétérinaire, La maison des filles de Crescentina, 1958 etc.) pour s’affranchir triomphalement dans la franchise dépouillée des lignes gravées à la pointe, des traits subtils qui grossissent, telle une calligraphie à l’encre de Chine. Durant ces années les paysages marchigians et romains se fondent dans une sorte de construction imaginaire, les collines de l’Asola sublimées dans l’Acqua Acetosa avec des renvois constants, « ce sont des pentes et des maisons juste esquissés, opportunité de signifier dans un espace resserré toute la tension vers l’achèvement, l’exactitude, besoin de lumière et désir d’appropriation » (Gastone Mosci), ce sont des plans essentiels, disposés en escalier vers le fond de la scène, obtenus par des lignes brisées et une disposition poétique des branchages. Le trait synthétique et tranchant exprime cette veine ironique réservée à certains portraits filiformes du père Aurelio, peut-être inspirés par l’étude de Daumier, pour s’épaissir, surtout dans les paysages, et se charger d’une densité soudaine, imprévue, à la recherche de contrastes durs entre noir et blanc – attiédis parfois par l’intervention atmosphérique de l’aquatinte ou par l’usage du petit fond – et qui renvoie presque au sons produits par les points sur le cuivre ou le zinc pendant la gravure.
Les lieux aimés, la vie en plein air, la poésie des « petites choses », héritage de Pascoli, sont les composants doux et vigoureux de l’ « a-solitudine »[1] de Ciarrocchi ; ce sont des aspects communs aux trois graveurs de cette exposition qui, en s’inspirant de la technique des grands du passé, se trouvent eux-mêmes dans leur essence, rencontrant leur temps et fondant un nouveau classicisme.

[1] Jeu de mot de Ciarrocchi évoquant à la fois l’Asola, campagne dans laquelle il travaillait, et la
solitude.




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