Marco Luzi si presenta senza abbellimenti,
con un'alzata di spalle imbarazzata per quel che è l'uomo ma deciso a
mostrarlo, totalmente, pelle e carne esposte, organi fuori dai corpi,
assemblaggi d'arti come dopo una dissezione, secondo suggestioni che forse
evocano nudità alla Lucien Freud miste d'inquietudine baconiana (magari anche
per quel medesimo procedimento a partire dalle fotografie) ma a progressiva
perdita di contesto, come epurate, sterilizzate, tolte della personalità.
Ed il primo esempio d'uomo è certo se
stesso: numerosi e notevoli gli autoritratti, schivi, mai diretti, con gli
sguardi puntati in basso o di lato, presi come attraverso convessità di
specchio, con la schiena o il busto protagonisti, dentro pose da prigioni
michelangioleschi che tentano di ritrovare l'articolazione e la libertà del
movimento, innaturali perché trattenuti ma immensamente umani e spogli di
difese. E insieme al suo corpo, quelli di altri uomini, di altre donne, in
isolamenti e vuoti, spazi neutri che parlano in termini di pulizia chirurgica,
in odore di disinfettante ospedaliero e che passano dallo sfondo alle rosee
rotondità o magrezze portandosi dietro un'essenzialità che riserva tutta
l'attenzione alle questioni esistenziali, allo stupore per le funzioni vitali e
al disagio della costrizione fisica, nel rebus epidermico e venoso, dei
tessuti, dei muscoli più che dello scheletro portante.
Sono visioni di mani che ingigantiscono,
gambe che scompaiono in scie vischiose, applicazioni di protesi e fuoriuscite
d'organi che sussistono, galleggiano in un'atmosfera satura, come strumenti di
durata, componenti strutturali. Sono lucide allucinazioni cui non ci si può
sottrarre.
Ma quest'uomo che è quasi soltanto carne,
passibile di una mortalità insignificante come pollame da macello, assiste nel
suo percorso al grande mistero della procreazione, si disperde in altre carni,
si moltiplica e stupisce di essere se stesso nei propri figli, nuovi corpi
rosei e innocenti in bilico in questo mondo asettico, troppo illuminato,
impossibile e sorprendente sin dal primo respiro artificiale, violento come le
immagini che l'artista condensa dentro i piccoli supporti a potenziare i forti
contenuti, brutale come l'assenza di contesto che esclude ogni banalità delle
composizioni, possente come la sapienza pittorica con cui sono rese queste
carni illuminate, questa implacabile analisi dell'esistenza.
Marta Silenzi
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